Amore, sentimento e il punto di vista “altro” nel cantautorato di A.Pellegrini
Recensione a cura di Giampaolo Milzi.
Articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile
Quando con le canzoni ci nasci, quando le hai dentro, e quando crescendo ti basta studiare la musica e osservare il mondo interiore ed esteriore da un punto di vista altro. Ecco, quando questi “quando” si concretizzano in modo un po’ magico, le canzoni nascono e sbocciano come fiori da cogliere durante attimi fuggenti e da riporre poi secchi, ma pieni di ricordi, tra gioie e malinconie, nelle pagine di un libro di fiabe o di fantasy.
Di sicuro ci sono questi “quando” nell’humus che dà vita alle canzoni di Alessandro Pellegrini, anconetano, classe 1987. Lui, che a sei anni decide di imparare a suonare il pianoforte classico e moderno, e impara sempre di più fino al 2014, e nel frattempo, per gioco, i suoi primi versi in musica li ha scritti appena 17enne. S’intitola “Qualcosa”, questo secondo album firmato da Pellegrini e registrato al Lunik Studio di Pesaro, dopo quello d’esordio, “La casa senza scale” nel 2010.
Ed in esso c’è più di qualcosa, c’è molto. Innanzitutto tanto amore e sentimento, evidenti come temi di fondo in “Foulard”, “Il castello” e nella title track, ma presenti come approccio creativo e sensazioni che restano nell’ascoltatore anche negli altri nove brani. Tutti ideati, co-arrangiati e autoprodotti da un artista che negli anni ha partecipato a kermesse e concorsi di alto livello, anche in Estonia, e ha vinto premi nazionali come quello “Giovani per la musica” (Pesaro, 2061) e “Franco Enriquez 2017” (assegnato in questo agosto).
Le radici ispirative di Pellegrini vanno ricercate nelle pagine autobiografiche e/o oniriche (dove l’occhio guarda molto in luoghi di Ancona e dintorni) di un libro personal- vocazionale, altamente creativo che brilla per l’elevata, ormai matura tecnica compositiva ed esecutiva. Tecnica evidente nella leggerezza e incisività con cui i testi e la musica si abbracciano in un’ammaliante osmosi. Un pacato, dolce equilibrio, che nasce spesso da spontaneismo, da emozioni e percezioni fugaci, ma cristallizzate per sempre in perline di cantautorato grazie ad un estro che molto concede anche alla concentrazione, alla riflessione. Al di là di scontati richiami a “big” del cantautorato italiano come De Gregori, De Andre, Vecchioni, Branduardi, Tenco, Conte, la cifra stilistica di Pellegrini – certo, non siamo ai quei livelli… ma per il futuro mai dire mai – ci sembra più sinfonica, comunque elaborata in modo abbastanza originale e molto armonico.
Questo cd “Qualcosa” è una lenta danza in punta di piedi, diretta da pianoforte, chitarra e speciale ritmica percussiva, con archi, fiati e armonium (strumenti tutti affidati agli amici) chiamati ad orchestrare un’esperienza favolistica e lirica, che in un paio di occasioni corteggia appena la sperimentazione. E così l’onnipresente atmosfera fatata sfuma nell’intermezzo molto fox trot “Balla tu” in cui ci diletta coi suoi vocalizzi in inglese Cecilia Rossini. Mentre “La sera”, grazie anche all’armonium, è un bellissimo canto orante e altamente poetico. E “L’insetto rovesciato” sorprende per la sua verve ludica e scherzosa, senza dimenticare quel punto di vista “altro”, diverso, cui ci riporta il testo, che probabilmente costituisce il piccolo-grande messaggio contenuto in questo album. Per dirla con lo stesso Pellegrini “non occorrono parole in più, bisogna ascoltare”.